“I dati che Hera ha diffuso nei giorni scorsi parlano di un 33% di plastica riciclata, solo all’interno della plastica differenziata, che è circa la metà della plastica totale che viene gettata dai cittadini – puntualizza il vicepresidente di Legambiente Modena, Davide Ferraresi, intervistato da Chiara Tassi – Possiamo quindi dire che appena un 16-17% della plastica che viene buttata viene riciclata, ossia la cui materia viene effettivamente riutilizzata per costruire nuovi oggetti. E chiaramente si tratta di numeri molto, troppo bassi”.
Come mai i numeri sono così bassi?
“Sicuramente ci sono più fattori che li influenzano. Da una parte il fatto che la raccolta della plastica venga fatta per tutti i polimeri in uno stesso contenitore non semplifica il riciclo, anche perché una parte di questi polimeri non sono riciclabili e devono essere per forza smaltiti in discarica o tramite il termovalorizzatore. Dall’altra parte poi viene sempre più spesso segnalata la mancanza di un mercato per la materia riciclata e quindi l’assenza di una domanda da parte di produttori che potrebbero utilizzare questo materiale per produrre nuovi oggetti, e quindi anche questo rende meno appetibile il riciclo”.
Questi numeri sono in linea con quelli nazionali oppure ci sono territori che riescono a riciclare molto più di noi?
“Noi abbiamo confrontato i numeri all’interno della nostra regione. Tutti gli anni Legambiente produce il report dei comuni ricicloni, in cui vengono pubblicati i dati relativi alla percentuale di raccolta differenziata e al quantitativo di rifiuti indifferenziati prodotti in ogni Comune. Abbiamo confrontato quello che accade a Modena con quanto accade nella vicina Carpi e i dati dicono che il cittadino carpigiano medio produce un quarto dei rifiuti indifferenziati rispetto ad un modenese”
Va detto però che a Carpi da tempo si fa la raccolta porta a porta, che a Modena ancora non si fa…
“A Modena è in atto un progressivo spostamento verso questa modalità di raccolta. Noi speriamo che questa transizione avvenga il più rapidamente possibile, perché è un modello che dà riposte molto positive sia per la quantità di differenziata sia, conseguentemente, per l’abbattimento di rifiuti che vengono conferiti all’inceneritore o in discarica”.
Inceneritore che però poi in qualche modo dovremo alimentare, ad esempio facendo arrivare i rifiuti da fuori provincia…
“Il tema dell’incenerito è piuttosto complicato. Sicuramente la presenza di un impianto che smaltisca i rifiuti prodotti all’interno di un territorio deve esserci, perché inevitabilmente una parte di rifiuti deve essere smaltita. Chiaramente ci auguriamo che questo quantitativo venga progressivamente ridotto grazie allo sviluppo tecnologico e all’abbandono di materiali che non possono essere riciclati. Dall’altra parte però va considerato che un impianto che ha una capacità molto superiore a quelli che sono i rifiuti prodotti dal territorio, deve inevitabilmente importare rifiuti. Bisogna trovare una via di mezzo, una razionalizzazione”.
Dicevamo che appena il 17% della plastica viene riciclato. Il resto viene smaltito in altro modo, quindi anche bruciato. Quanto è pericoloso bruciare plastica dentro il nostro termovalorizzatore?
“Su questo tema lavora il Comitato Salute Ambiente, noi non possediamo dati. Quello che possiamo dire però è che bruciare plastica nell’inceneritore non ne consente poi un suo ulteriore utilizzo, e si dovrà produrre nuova plastica per creare nuovi oggetti, ricorrendo a petrolio o altri materiali fossili che noi auspichiamo verranno progressivamente abbandonati”.
Ricordiamo infatti che la plastica si produce utilizzando anche il petrolio…
Esatto. Ci sono poi delle bioplastiche che vengono fatte utilizzando materia prodotta, ad esempio, in agricoltura. Ma anche in questo caso ci sono degli svantaggi: produrre questo tipo di sostanze richiede spazio, che viene deve essere sottratto ad altre produzioni.
Secondo voi, quindi, che cosa si potrebbe fare?
Sicuramente bisogna puntare sullo sviluppo di nuove tecnologie che consentano progressivamente un aumento del riciclo dei polimeri plastici. Contestualmente poi bisognerebbe ridurre l’uso dei polimeri che al momento non sono ancora riciclabili.