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Plasmaterapia, l'Emilia Romagna ci va cauta "E’ presto per trarre conclusioni definitive, i dati sono ancora scarsi"

La Regione si affida alle parole del prof. Viale, componente dell'Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore di Malattie Infettive al Sant'Orsola di Bologna

Lascia un commento | Tempo di lettura 180 secondi Modena - 04 May 2020 - 17:33

Mentre all’ospedale Poma di Mantova i Nas hanno chiamato il reparto del prof De Donno per richiedere informazioni sul caso della donna incinta curata con plasma iperimmune, la regione Emilia Romagna ci va cauta: "E’ presto per trarre conclusioni definitive, i dati sono ancora scarsi" ha detto il professor Pierluigi Viale, componente dell'Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore di Malattie Infettive al Sant'Orsola di Bologna.

E’ per questo –conclude il comunicato inviato questo pomeriggio dalla Regione- che al momento in Emilia-Romagna questa sperimentazione non viene utilizzata.

Una risorsa terapeutica importante, ma i dati ancora scarsi non consentono di trarre conclusioni definitive”. La Regione Emilia-Romagna interviene sulla plasma terapia, e lo fa attraverso le valutazioni del professor Pierluigi Viale, componente dell’Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

“Parliamo di una risorsa terapeutica nota il cui utilizzo risale ad oltre cinquant’anni anni orsono, che si basa sul principio della trasmissione passiva degli anticorpi come strumento terapeutico nei confronti di malattie da infezione- spiega Viale-. Era già stata sperimentata durante le due precedenti epidemie da Coronavirus (Sars e Mers), per cui alcuni gruppi di lavoro l'hanno messa in atto anche nei confronti di Covid-19”.

“Tuttavia i dati di letteratura sono al momento molto scarsi, quasi aneddotici: si riferiscono infatti a meno di venti pazienti, tutti in fase di malattia avanzata e tutti co-trattati con altri farmaci, per cui è difficile trarre conclusioni definitive- aggiunge-.  Anche per questa terapia sarebbe necessario mettere in atto uno studio prospettico randomizzato e soprattutto verificarne l'efficacia in fase più precoce di malattia ed in assenza di co-trattamenti”.

A queste considerazioni, il professor Viale aggiunge ulteriori valutazioni scientifiche che spingono la Regione ad adottare una linea prudenziale, quindi a scegliere di non utilizzare al momento questa terapia sui pazienti affetti da nuovo Coronavirus ricoverati nelle strutture del sistema sanitario emiliano-romagnolo.

“Vi sono alcune perplessità di fondo rispetto a tale terapia- sottolinea Viale-. Innanzitutto il fatto che non si sappia se gli anticorpi presenti nel siero dei pazienti guariti siano protettivi e per quanto perdurino. Secondariamente, appare azzardato somministrare passivamente anticorpi ad un paziente - specie in una fase di malattia in cui sia possibile utilizzare risorse alternative - fino a quando non sarà chiarito il rischio che Covid-19 possa sfruttare il meccanismo attraverso cui gli anticorpi fungono da vettore di infezione da altro sierotipo virale piuttosto che da fattore protettivo; parliamo di ciò che scientificamente viene denominato antibody-dependent enhancement, Un’ulteriore perplessità giunge dall’ipotesi che la somministrazione di plasma contenete anticorpi di un’altra persona possa innescare patologie immuno-mediate”.

“Per tutti questi motivi- conclude Viale- l’utilizzo routinario del plasma in pazienti affetti da nuovo Coronavirus dovrebbe avere una rigorosa fase sperimentale ed un più lungo follow up prima di essere considerato una terapia di riferimento”.

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