Con i 155 posti letto in terapia intensiva attualmente a disposizione a livello regionale per i malati di Covid, su 516 posti totali, l’Emilia Romagna ha –ad oggi, con 86 pazienti in intensiva- occupato il 55% dei letti disponibili.
Al di là del numero dei contagi, in questa che di fatto è un’emergenza sanitaria, quello che conta sono i posti letto occupati nei reparti: se infatti sono stati aumentati quelli in intensiva, sono invece calati gli altri.
“Sicuramente è importante dire che quello che sta succedendo oggi nei nostri ospedali è molto differente da quello che succedeva a marzo e aprile - spiega la segretaria di Anaao Emilia Romagna Ester Pasetti intervistata da Chiara Tassi - al momento ci troviamo in una situazione che è molto distante da quella in cui ci siamo trovati la scorsa primavera, anche a livello di occupazione dei posti letto ospedalieri.
Sicuramente si tratta di una situazione che diventa di giorno in giorno più impegnativa perché, come si vede dai dati, è in continua e costante evoluzione. E purtroppo è una continua e costante evoluzione in crescita. Questo significa che gli ospedali diventano di giorno in giorno più stressati dalla necessita che per il momento, in Emilia-Romagna, è quella di conciliare l’attività ordinaria con la gestione dei pazienti che invece hanno contratto il Covid. Quindi, il grosso sforzo che noi stiamo facendo è quello di gestire entrambe le situazioni in condizioni di assoluta tranquillità e sicurezza per tutti.
Aumenta poi quotidianamente il numero di accessi al pronto soccorso. Questo non porta necessariamente all’aumento del numero di ricoverati perché, per fortuna, ancora adesso molte delle persone che sono positive al Covid sono asintomatiche e quindi possono tornare a casa e trascorrere la quarantena in isolamento. Però va detto che ci sono sempre e costantemente piccoli aumenti anche nei ricoveri. Ricordo che meno di un mese fa avevamo, a livello regionale, 13 pazienti in terapia intensiva, adesso siamo a 86. Sono numeri molto lontani da quelli che avevamo in primavera, però il continuo e costante aumento deve essere tenuto chiaramente sotto controllo, anche perché non in tutte le città la situazione è uniforme”.
A livello regionale, ci sono delle situazioni che preoccupano di più rispetto ad altre?
Sicuramente preoccupa Bologna, maggiormente rispetto ad altre per la sua caratteristica di città più popolosa, in cui è più facile la diffusione del contagio e anche perché, oggettivamente, quello che si sta osservando ormai da un paio di settimane è lo stress sul pronto soccorso e sui reparti in cui collocare i pazienti che lo necessitano.
Per fortuna, i pazienti che noi vediamo adesso sono valutati più precocemente, quindi meno gravi, ed è per questo che il numero di pazienti che hanno necessità di una terapia intensiva o subintensiva è minore rispetto a prima. Ci sono però pazienti che hanno la necessità di essere ricoverati in reparti internistici più standard, anche se dedicati a pazienti Covid, e di questi letti in realtà non c’è stato un aumento, anzi c’è stata una riduzione diffusa a livello regionale e dovuta al fatto che, per motivi di sicurezza, si è dovuto ridurre il numero di posti letto per stanza di degenza”.
Il Commissario Arcuri ha detto, ‘a livello nazionale, se tra 2 settimane i numeri non cambieranno saremo al tracollo’. La nostra regione è su questa linea?
Al momento direi proprio di no. A livello nazionale siamo arrivati al tracollo anche a marzo. Però poi, a ben guardare, c’era una parte di Italia, quella del nord, invasa dal virus, mentre il centro-sud era interessato in maniera molto marginale. Adesso, purtroppo, la situazione si sta ribaltando. Quindi, possiamo fare un discorso globale, ma se andiamo a vedere la situazione a livello delle singole regioni è indispensabile fare ragionamenti differenti.
Ci sono regioni con occupazione di posti letto Covid minori delle nostre (ad es. la Lombardia che ha il 41% dei letti covid occupati al 20 ottobre, il Piemonte il 42%) ma che hanno preso, a livello regionale, restrizioni maggiori. Secondo Lei perché?
Forse non hanno una dotazione di posti letto come la nostra, o forse hanno una maggiore diffusione del virus. Noi al momento abbiamo un incremento dell’1,2% dei casi positivi globali, rispetto ad altre regioni che hanno più del 4% e 5%. Quindi, lì bisogna valutare, regione per regione, com’è l’andamento del virus e qual è la reale disponibilità di posti letto. La nostra grande preoccupazione è sì sui posti letto, ma anche sul personale dedicato a questi posti letto, un motivo per cui il sistema può saltare.
Anche nella nostra regione?
Assolutamente sì.
Di che numeri parliamo? Quanti medici mancano?
È sempre molto difficile dirlo perché è una situazione dinamica. Globalmente, se la Regione ha aumentato di 250 posti letto le disponibilità della terapia intensiva, sicuramente non abbiamo medici intensivisti sufficienti per coprire questo aumento di posti. Fermo restando che per ogni specialistica ormai si è in affanno e si può stimare che manchi circa un 10% del personale necessario; detto così è un numero piccolo ma in realtà non lo è.
Manca personale per coprire questi 250 posti letto. Nel caso dovessero essere riempiti tutti, chi verrà messo a seguire questi pazienti?
Il piano attuale è l’occupazione e l’attivazione progressiva. Questi posti letto non sono al momento tutti “aperti” perché non sono necessari. Si potrà pensare, eventualmente, di spostare e rimodulare i posti letto di città in città, in base a quelle che sono le necessità maggiori.
L’università italiana comunque non ha prodotto un numero sufficiente di specialisti per garantire il fabbisogno attuale; in Italia il problema grosso in questo momento è questo: non ci sono gli specialisti.