Oggi l’Ema deciderà su Astra Zeneca, quasi scontato il ripristino delle vaccinazioni con il siero inglese. Ora però i centri di prenotazione dovranno fare i conti con la diffidenza generata dal caos degli ultimi giorni. Senza contare che continuano a far discutere le nuove raccomandazioni secondo cui anche i vaccinati con seconda dose di qualunque vaccino dovranno comunque indossare le mascherine, rispettare le distanze e stare in quarantena in caso di contatti con persone positive.
Clarissa Martinelli ha chiesto il perché al prof. Vittorio Sambri, direttore dell'Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell'Ausl Romagna:
“Il vaccino ad oggi è in grado, per i dati che abbiamo, di bloccare lo sviluppo della malattia ma non blocca l’infezione, ossia la capacità del virus di infettare una persona. E i dati ormai lo dimostrano. Questo significa che se io sono vaccinato e mi infetto non mi ammalo ma potrei, in linea teorica, infettare altre persone magari non vaccinate. Queste raccomandazioni quindi sono assolutamente prudenziali: il vaccino non è la patente per andare in giro senza mascherina e senza mantenere il distanziamento interpersonale. Al momento non è così.
In questo caso la distinzione tra infezione e malattia è una distinzione importante: una persona vaccinata potrebbe diventare un infetto asintomatico, quindi è giusto che viva in una situazione di prudenza. Quello che sappiamo è che nel 95% dei casi le perone vaccinate non si ammalano, cioè non sviluppano la malattia Covid 19, ma possono avere l’infezione da Sars-coronavirus e quindi essere contagiose”.
A Modena e a Bologna da alcune settimane la situazione è più grave che altrove, lei ha ipotizzato l’esistenza di una variante locale più aggressiva. E’ così?
“I colleghi delle rianimazioni di Modena e Bologna hanno osservato una differenza rispetto a quella che è la severità clinica in altre aeree del paese. Quindi si sta cercando di capire in primis se questa differenza è reale o solo percepita, rianalizzando i casi trattati. Poi andrà esaminato se questa eventuale maggiore severità possa trovare spiegazione in una qualche variazione nel virus. Al momento però non abbiamo alcuna prova.
Dobbiamo dire che quando ci si trova di fronte a casi clinici con una severità diversa rispetto a quella che ci si aspetta dall’esperienza delle migliaia di pazienti trattati fino ad ora, l’ipotesi che si possa trattare di un virus che magari è già noto da altre parti, ma che fino adesso non avevamo ancora incontrato va considerata”.
Si aspetta un periodo di tregua, da aprile, col ritorno del bel tempo?
“Credo che sia logico pensarlo, intanto perché stiamo prendendo misure di contenimento dell’infezione che stanno facendo soffrire tante persone ma che sicuramente sono efficaci. Va poi ricordato che nel periodo della stagione estiva, come tutte le malattie respiratorie, probabilmente anche questa fa più fatica a diffondersi. Si tratta infatti di malattie della stagione fredda, di quando si sta in casa e c’è meno areazione degli ambienti. Quindi mi aspetto che la situazione possa migliorare, ma non sto dicendo che finisca”.