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Reggio Emilia Cronaca Saman: si continua a cercare il corpo della giovane mentre spunta un video di un funerale senza salma

Saman: si continua a cercare il corpo della giovane mentre spunta un video di un funerale senza salma

"La sinistra è titubante nel prendere una posizione per timore di essere stigmatizzata come razzista, ma qui parliamo di diritti umani" dice la consigliera del Pd di Reggio Marwa Mahmoud

Lascia un commento | Tempo di lettura 238 secondi Reggio Emilia - 04 Jun 2021 - 09:25

Un video pubblicato su facebook e poi cancellato in cui viene ripreso un funerale senza salma. Lo ha trasmesso in diretta dal Pakistan, il padre della giovane Saman Abbas il 4 maggio, poi, dopo qualche ora, quel video è stato cancellato. A trasmettere il filmato è stata il 2 giugno la trasmissione Chi l’ha visto, il sospetto che quella cerimonia sia legata alle sorti di Saman.

Intanto è stato portato in un luogo protetto il fidanzato della 18enne, quel giovane con cui Saman voleva passare la vita e per cui aveva deciso di uscire dal percorso di protezione dei servizi sociali. Un giovane però che la famiglia Abbas non accettava.

E mentre ieri è stata emanata dalla Commissione degli Imam una fatwa contro i matrimoni forzati nell’Islam, la politica fatica a metterci la faccia su un tema delicato come questo. A dirlo la consigliera del Pd di Reggio Marwa Mahmoud. Ad intervistarla Chiara Tassi. 

“Credo che la peggior reazione che possa esserci è quella di vivere una titubanza nel prendere una posizione per timore di essere stigmatizzati come razzisti. E secondo me è il timore che vive una certa parte della sinistra. No: quando si tratta di violenza, di violazione dei diritti umani, di violazione dei diritti della donne bisogna assolutamente stigmatizzare quella prassi e il comportamento va condannato, e nel caso specifico va condannato il matrimonio forzato che in Italia è reato penale dal 2019.

Anche perché nella giornata contro la violenza sulle donne scendono tutti in campo con condanne su condanne, poi quando accadono queste cose nessuno vuole metterci la faccia…

Esatto, bisogna proprio stare attenti alla creazione di battaglie di serie A e di serie B. Qui si tratta di violazione dei diritti umani, di una non consensualità all’interno di un rapporto che dovrebbe essere di amore e d’affetto. Quindi non bisogna stigmatizzare rispetto all’origine, alla nazionalità, alla fede, alla cultura quanto riuscire a trovare i connotati giusti per schierarsi, e che riguardano il tema dei diritti umani.
In questo caso parliamo di matrimonio forzato, che è una prassi obsoleta che va superata. I tempi però sono maturi per farlo, perché in Italia abbiamo nuove generazioni, figli e figli di migranti, che possono essere costruttori di ponti tra comunità di provenienza, associazioni, realtà aggregative e sicuramente anche la società italiana, le scuole, le istituzioni

Quello che ha dell’incredibile è che in una situazione come questa la prima ad essersi espressa sia stata la comunità mussulmana. Non una parola, ad esempio, dalle associazioni femministe…

Credo che le associazioni che seguono più da vicino tutti i temi legati alle donne abbiano una visione distorta sul tema del matrimonio forzato: penso ritengano che non possa riguardare, oggi, la società italiana. Io distinguo sempre tra matrimoni combinati e forzati: i primi esistono a tutti i livelli e in tutte le società. Bisogna iniziare ad accettare il fatto che il matrimonio forzato è la “seconda fase” di un matrimonio combinato che non viene accettato.
Quanto alle comunità di fede mussulmana credo sia stato necessario, nonostante una prima fase di imbarazzo e disagio, un loro intervento. Bene che loro per primi ci abbiano messo la faccia.

Il territorio della Bassa non è nuovo a fatti del genere: possibile che le istituzioni, i servizi ancora non siano riusciti a mettere in atto un cambiamento di protocolli per seguire casi come questi?

Io credo che gli interventi siano da fare innanzitutto in termini preventivi: bisognerebbe avere un maggior presidio e una maggiore attenzione, ad esempio, a livello scolastico, educativo, formativo, cioè laddove c’è la possibilità di raccogliere campanelli d’allarme.  Nel momento poi in cui si riscontrano situazioni difficili, si ha ad esempio evidenza di un matrimonio forzato, non è che l’allontanamento dal nucleo famigliare sia, a mio avviso, esaustivo: il percorso che si deve fare non può essere solo sulla vittima, ma anche sulla famiglia. Bisogna insomma fare un lavoro molto più sistematico e integrato di quanto è stato fatto fino ad ora.

 

Nella foto Saman Habbas

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