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Modena Cronaca Minori stranieri non accompagnati: cerchiamo di fare un po' di chiarezza

Minori stranieri non accompagnati: cerchiamo di fare un po' di chiarezza

Intervista a Padre Giovanni Mengoli, presidente Gruppo CEIS: "Li salviamo se riusciamo a trovare loro un lavoro"

Lascia un commento | Tempo di lettura 479 secondi Modena - 24 May 2023 - 07:37

Raddoppiano le risorse stanziate dalla Regione, che salgono a 2 milioni di euro, destinate all’orientamento, alla formazione linguistica e ai laboratori professionalizzanti dei minori stranieri non accompagnati.
“Ciò avviene in una regione dove sono presenti una rete di strutture di accoglienza adeguate e impegnate ad affrontare le difficoltà, e operatori qualificati in grado di facilitare le relazioni tra il sistema di assistenza e i giovani" hanno detto gli assessori regionali Colla e Taruffi, interessati dal progetto. I laboratori saranno attivati anche sui territori di Modena e Carpi.

Ma chi sono questi minori non accompagnati di cui la nostra città da tempo si occupa? E soprattutto, qual è il loro percorso sul territorio? Chiara Tassi lo ha chiesto a Padre Giovanni Mengoli, presidente Gruppo CEIS e referente per i Minori Stranieri Non Accompagnati:

“Solitamente le strade per chi arriva a Modena sono due: o, conoscendo come funziona il sistema normativo italiano, sono ragazzini che si autodenunciano come minori stranieri non accompagnati (un minore che arriva nel nostro paese solo, senza parenti, non può essere espulso, ndr), oppure, ma credo si tratti ormai di numeri marginali, sono ragazzi che vengono fermati, ad es. su un treno e trovati senza biglietto, vengono fatti scendere, ed è il territorio su cui in quel momento si trovano ad essere adibito a prendersene carico”.

Perché così tanti arrivano nel modenese?

O perché richiamati da connazionali che sono già residenti sul nostro territorio oppure perché vengono a sapere che qui ci sono molte opportunità di lavoro. Ed intendo lavoro regolare. Quelli che arrivano sono ragazzi che vengono in Italia con l’obiettivo di poter garantire un futuro alla propria famiglia nel paese d’origine: diventano la “stato sociale della famiglia” lasciata in paesi dove lo stato sociale non c’è.

Sono tanti i minori che si dichiarano tali ma che una volta che vengono fatti i controlli, risultano poi essere maggiorenni?

C’è stato un periodo in cui arrivavano tanti sedicenti minori o ragazzi che, una volta fermati, si dichiaravano minori in maniera strumentale. Ora invece, vedendo i ragazzi che accogliamo nelle nostre comunità, non sono più tantissimi quelli che si dichiarano minori senza esserlo. Anche su questo –sull’accertamento dell’età- le forze dell’ordine fanno un gran lavoro. Generalmente comunque chi una volta in Italia si dichiara minore e non lo è lo fa per approfittare dell’inserimento nel nostro sistema di tutela.

Anche la questura di Modena ha sollevato il problema di ragazzi minori che arriverebbero qui assoldati dalla criminalità organizzata. Voi, dal vostro osservatorio, quanto lo ritenete un fenomeno realmente presente?

E’ difficile dire quanti sono già agganciati da questi gruppi prima che arrivino in comunità o quando sono già qui. Da una parte noi proponiamo a tutti questi ragazzi un percorso nell’assoluta regolarità, dall’altra alcuni di questi giovani sono molto più attratti da un’attività che permette loro di ottenere soldi facili.
I minori che vivono nelle nostre comunità vengono accompagnati, inizialmente, nel loro percorso che però poi compiono autonomamente: la comunità è la loro casa, ma si recano al centro stranieri, a scuola, ecc. autonomamente e possono venire in contatto con queste persone in molti luoghi diversi. Il nostro lavoro come operatori è quello di mostrare loro quali sono i vantaggi del vivere nella legalità.

Avete percezione è alcuni di questi ragazzi vengano contattati già nel loro paese d’origine e che vengano poi portati qui proprio per compiere reati?

No, questo non mi sento di dirlo. Quello che ho potuto verificare con tanti minori che poi prendono questa strada è che alcuni di loro –soprattutto i ragazzi che vengono dal Maghreb- già nel paese d’origine vivevano in maniera marginale rispetto alla famiglia e alla società. Quindi, nel momento in cui arrivi qui e non hai tanto da perdere sei davvero appeso ad un filo. E per noi il lavoro con questi ragazzi è difficilissimo, perché l’unico strumento che abbiamo a disposizione è quello della relazione, della fiducia. Per questo, ad esempio, cerchiamo, anche attraverso l’esempio di quelli che noi chiamiamo “fratelli maggiori” –ragazzi che stanno lavorando e stanno facendo un percorso positivo- di far vedere con i fatti quale può essere l’esito si un percorso nella legalità.

Devo anche dire che la dove è possibile inserire i ragazzi in percorsi di lavoro, quando anche loro comprendono che il lavoro legale ti permette di non dover vivere continuamente nascosto, i percorsi diventano positivi ed arrivano anche ad andare oltre i 18 anni.

Sono stati stanziati fondi per attivare percorsi professionalizzanti proprio rivolti ai minori non accompagnati: si tratta di un’iniziativa importante, dal vostro punto di vista?

La notizia dei fondi stanziati dalla Regione è una dato importantissimo: i centri di formazione professionale come la Città dei Ragazzi hanno ormai i corsi pieni, o quasi, con figli di cittadini italiani o si seconda generazione, per cui i minori non accompagnati non riescono spesso a trovare posti in questi percorsi. C’è poi anche un altro grosso problema: l’età media di arrivo dei minori non accompagnati in Italia è di circa 17 anni, il che non consente a molti giovani di completare la qualifica.

Questi corsi di formazione breve, invece, che durano circa 8 mesi, permettono ai ragazzi di 17 anni di entrare in un percorso formativo, acquisire competenze professionalizzanti ed inserirsi nelle aziende del territorio per mostrare le loro capacità, così che, al momento del compimento dei 18 anni, possono anche essere assunti dalle aziende.
Questo tipo di corsi è in avvio adesso, ma devo dire che ogni volta che attuiamo dei corsi professionalizzanti brevi, il riscontro dei ragazzi è positivo. E anzi, ne servirebbero tanti altri.

Una volta terminati questi corsi quindi i ragazzi vengono assunti?

Tanti ragazzi che sono passati da noi sono poi entrati nel mondo del lavoro nella metalmeccanica, nella ristorazione. La chiave del successo, con questi giovani, è proprio quella di farli entrare nel mondo del lavoro da subito, perché questi ragazzi vengono qui con questo obiettivo. Purtroppo una delle difficoltà è che il contratto di lavoro per un minorenne è una cosa molto delicata. Senza contare poi che in Emilia Romagna i tirocini formativi per questi minorenni non possono essere attivati, perché bisogna dimostrare di aver assolto l’obbligo formativo, quindi di aver studiato per 10 anni, ma noi per questi ragazzi non possiamo dimostrarlo. Questi nuovi corsi che partiranno a breve rispondono proprio a questi problemi. E si tratta per altro di corsi indennizzati, che prevedono una piccola gratifica in denaro –un’indennità come quella della borsa lavoro- che consente a questi giovani si supplire a quelli che sono tutti i lucignoli che li attirerebbero a fare percorsi che noi disapproviamo.

Uno dei temi di cui più si discute è che tipo di controllo può fare la comunità su questi ragazzi: quanta libertà hanno? Possono uscire la sera?

Come dicevo noi lavoriamo sulla relazione quindi quanto più la relazione è autorevole, tanto più le regole che ci sono –l’orario dei pasti, l’orario in cui si può uscire e quando si deve rientrare- vengono rispettate. Noi non abbiamo tutti quegli strumenti che ha un genitore in caso di trasgressione delle regole. Possiamo dire ai ragazzi che ci stanno deludendo, oppure –ed è lo strumento su cui puntiamo di solito- premiare le persone che stanno facendo bene, magari con un incentivo sull’uscita, una paghetta maggiore, ecc.
Gli operatori possono fare anche verifiche negli armadi, negli spazi personali dei ragazzi, per vedere che tengano in ordine, ed in quel momento si verifica anche se i ragazzi hanno portato a casa “cose strane”.
Un’altra cosa è che sappiamo di quanti soldi i ragazzi dispongono: chi lavora normalmente ha un contro corrente che però è gestito dal suo tutore, oppure lo stipendio finisce nel conto della comunità ed il ragazzo potrà avere accesso al denaro solo a 18 anni compiuti. Chi studia invece riceve una paghetta di una 50ina di euro al mese. E’ chiaro che quando vediamo ragazzi che hanno beni che è difficile che possano essersi comprati, diventa facilmente intuibile che hanno un’altra fonte di guadagno. In questi casi noi segnaliamo ai servizi sociali che segnalano alla questura e alla procura dei minori che dovrebbe poi prendere provvedimenti.

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