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Nazionale Economia 3 milioni di partite iva in meno in 3 anni

3 milioni di partite iva in meno in 3 anni

L'allarme è di Federcontribuenti. Intervista alla vicepresidente Roberta Lemma

Lascia un commento | Tempo di lettura 190 secondi Nazionale - 14 Jan 2020 - 08:04

Mentre il reddito medio è calato di 7 mila euro negli ultimi 10 anni, nell’ultimo triennio sono 3 milioni le Partite Iva che hanno chiuso i battenti. L’allarme arriva da Federcontribuenti, che segnala anche come il 25% di queste viva al di sotto della soglia di povertà calcolata dall’Istat.

“Le Partite Iva o comunque le micro imprese sono quelle che sostanzialmente mantengono economicamente il paese - ha detto la vicepresidente nazionale di Federcontribuenti Roberta Lemma, intervistata da Chiara Tassi- ma non hanno alcuna forma di tutela: non si possono ammalare, non hanno le ferie pagate, non hanno diritto la maternità. Ciò nonostante vengono continuamente assoggettate a leggi che minano la loro capacità produttiva, occupazionale ma addirittura quella di potersi mantenere con il proprio lavoro. Pensate che con un fatturato di 45 mila euro, pagando tutte le imposte, ad un lavoratore autonomo resta un guadagno netto di 17 mila euro. Con quale coraggio parlano di carico fiscale ridotto? Nel 2020 non avremo alcuna crescita economica, saremo ancora ultimi tra tutti i Paesi Ocse e questo perché resta la tendenza ad assassinare fiscalmente chi produce denaro ed occupazione”.

Parliamo di numeri: avete detto 3 milioni in 3 anni a livello nazionale. Ci sono dati calati sulla regione Emilia Romagna?

In Emilia Romagna solo nel 2019 hanno chiuso ben 1400 partite iva. Una partita iva difficilmente supera i primi 5 anni di attività, perché ancora prima di aprire, ancor prima di poter lavorare, un lavoratore autonomo si indebita con il fisco e spesso anche con le banche.

Chi sono queste partite iva che oggi subiscono la crisi?

Il negozietto sotto casa, una piccola impresa edile, l’elettrauto, un fornitore di servizi; si tratta di un qualsiasi piccolo lavoratore che decide di mettersi in proprio e purtroppo non riceve nessuna forma di tutela pur pagando tante a tante tasse. Stiamo parlando di circa il 65/70% del proprio guadagno che se ne va in tasse, perché questi lavoratori non solo pagano le tasse sul proprio lavoro, ma anche come cittadini privati. C’è disoccupazione, apro una Partita Iva per creare lavoro e cosa fa lo Stato? Mi taglieggia senza sosta e logica.

Che cosa si dovrebbe fare, quindi, secondo lei?

Prima di tutto andrebbe stabilito un tetto alle tasse. Poi bisognerebbe dare la possibilità, per i primi 5 anni, a chi apre una Partita Iva –prima di essere assoggettato a tutto il carico fiscale al momento in atto in Italia- di lavorare, di capire quanto si riesce a fatturare, capire se si ha la possibilità di assumere qualcuno. Poi, in base a questo tu Stato stabilisci il mio carico fiscale che così sarà proporzionato alla mia realtà, sulla base di quanto riesco a produrre. Altro problema: i vecchi studi di settore che in realtà sulla carta sono stati aboliti ma che così non è: perché sei tu Stato a stabilire quanto io devo guadagnare? Magari guadagnassi quanto tu mi dici! In realtà non è così, soprattutto per le Partite Iva…

L’introduzione del nuovo regime forfettario per le Partite Iva secondo lei è un primo passo verso un aiuto per questo tipo di realtà lavorative?

Assolutamente si, anche se rimangono irrisolti tutta una serie di problemi. Ad esempio 8 partite iva su 10 hanno in atto rateizzazioni per debiti o mancati pagamenti che si accumulano alle scadenze fiscali. Non ci sono insomma solo le pendenze fiscali annuali, ma devono essere considerato anche i vecchi debiti.

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