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Carcere di Reggio: misure di sicurezza inadeguate

In più la struttura è degradata e insalubre. E lo stesso vale per la caserma agenti, tanto che c'è chi si è abbonato in palestra per farsi una doccia calda. Intervista ad Anna La Marca, assistente capo Polizia Penitenziaria

Lascia un commento | Tempo di lettura 486 secondi Reggio Emilia - 24 Jan 2020 - 09:36

Sicurezza zero nel carcere di Reggio Emilia. La denuncia arriva dal sindacato di Polizia Penitenziaria. Nessun controllo all’ingresso nel carcere che ha ospitato, tra gli altri, gli imputati di Aemilia: i controlli ci sono solo una volta che si arriva già all’interno dell’istituto penitenziario. Con rischi evidenti per la sicurezza di agenti e detenuti, come ha confermato la Vice segretaria SiNaPPe ed assistente capo Polizia Penitenziaria Anna La Marca intervistata da Chiara Tassi:

“La sicurezza non c’è, perché a Reggio Emilia non abbiamo alcun tipo di controllo al primo varco, ossia alla primissima portineria: non un metal detector, nulla che ci dia la possibilità di controllare chi entri a qualsivoglia titolo, dai famigliari, agli avvocati, a noi stessi agenti. Il primo controllo che viene fatto è già dentro l’istituto, all’ufficio rilascio colloqui: se quindi qualcuno entra con qualcosa di offensivo per noi o per gli altri è già dentro, nessuno prima di quel punto può controllarlo o controllare –tramite rx- le borse”. 

E’ capitato che sostanze piuttosto che oggetti che in carcere non dovrebbero entrare sono stati trovati?

Si, purtroppo succede: è capitato ad esempio anche con persone insospettabili, come nel caso di un professore che insegnava in un istituto superiore di Reggio e all’interno del carcere e introduceva droga per i detenuti. In questi casi, se hai dei sospetti, solo l’unità cinofila può aiutarti, ma noi non l’abbiamo.

Quindi una volta che avete il sospetto dovete chiamare da un’altra forza di polizia per avere i cani antidroga in carcere?

Non tanto da altre forze di Polizia ma dalla stessa Polizia Penitenziaria. Il problema è che non tutti gli istituti hanno l’unità cinofila, quindi bisogna individuare quella più vicina ed attendere che abbia la disponibilità per effettuare questo genere di operazioni.

Aspettando quindi magari anche diverse ore…

Anche giorni, non è questione di ore! Per quindi bisogna avere occhi ben aperti per monitorare comunque e soprattutto la persona su cui c’è il sospetto e che magari si ripresenta prima che tu possa controllarla.

 

Ma non è solo un problema di sicurezza. La dott.ssa La Marca ci racconta anche del degrado degli ambienti non solo all’interno del carcere ma anche nella caserma della Polizia Penitenziaria: termosifoni che non funzionano, acqua calda che non c’è, muffa alle pareti, agenti costretti a cucinarsi i pasti all’interno delle stanze in cui dormono per la mancanza di spazi comuni. E gli agenti sono ormai esasperati.
 

“I problemi di queste ultime settimane si ripropongono in realtà ormai ogni inverno. Ovviamente capirete che vivere così, non avere la possibilità di farsi una doccia calda alla fine di un lungo e spesso estenuante turno di lavoro, piuttosto che non poter riposare in un luogo un minimo caldo, a lungo andare, logora qualsiasi persona. Senza contare che chi alloggia in caserma per un tempo prolungato  paga un affitto allo Stato, se volete irrisorio - parliamo di circa 200 euro al mese- ma non avendo in pratica alcun servizio: ci sono colleghi che si sono iscritti in palestra non per voler fare sport, ma per farsi una doccia calda!”

Spazi comuni ce ne sono?

No. La palestra –che è presente in quasi tutte le carme- da noi è inutilizzabile. Una sorta di mensa non c’è, così come non c’è nemmeno una cucina comune. E anche questo sono dettagli da non sottovalutare, considerato che in caserma vengono ospitati ragazzi che arrivano da ogni parte d’Italia e che una volta a Reggio le prime persone che conoscono sono proprio i colleghi di lavoro: non c’è alcuno spazio per la socialità. Ricordo qualche anno fa che un gruppo di ragazzi in servizio durante le festività natalizie ha organizzato una tavolata di fortuna nei corridoi della caserma, un modo per sentirsi un po’ meno lontano dalla famiglia e poter mangiare assieme.

Ma quindi chi abita in caserma dove cucina?

All’interno della propria stanza, dove dorme, con dei fornelletti elettrici o acquistando ogni giorno in rosticceria pasti già cucinati. Cosa quest’ultima che, anche dal punto di vista economico, diventa piuttosto onerosa.

Per quanto tempo rimangono, mediamente, queste persone ad abitare in caserma?

Passano circa tre/quattro anni prima che trovino un’altra sistemazione. Tra l’altro mentre fino a qualche anno fa ad abitare le stanze della caserma erano prevalentemente ragazzi molto giovani, adesso si sta verificando un processo inverso: sono tanti gli uomini che, vedendo finire il proprio matrimonio ed in attesa di capire quali saranno le spese da sostenere per il mantenimento dei figli, tornano stabilmente in caserma. Parliamo di persone di 45/50 anni che vivono in una sorta di ostello della gioventù, non è facile…

Torniamo all’interno del carcere: anche lì, per gli agenti, ci sono problemi per quanto riguarda la mensa…

Si, anche all’interno dell’istituto penitenziario la cucina della mensa è chiusa da tempo a causa delle infiltrazioni di acqua e della conseguente muffa (come è possibile vedere dalle foto, ndr), nonchè delle temperature: c'erano in media 8°C, gli agenti erano costretti a pranzare imbacuccati per non ammalarsi. Dopo la chiusura di cucina e mensa abbiamo avuto la possibilità di consumare i pasti in quello che era lo spaccio/bar del carcere riservato agli agenti e anche questo chiuso, ma continuamo ad avere grossi problemi: siccome la cucina è fuori uso, i pasti vengono preparati la mattina a Modena e poi arrivano qui. Ovviamente quando è ora di consumarli sono praticamente immangiabili. Ma qualcosa si sta muovendo: nell’ultima riunione, in cui era presente il direttore del carcere e legale della ditta che eroga i pasti (riunione che si è tenuta martedì 21 gennaio, ndr), si è deciso di dotare lo spaccio di piastre elettriche e microonde per poter riscaldare i cibi. E ci sembra un buon punto di partenza. Si è anche stabilito, poi, che verranno fatti sanificare locale mensa e cucina agenti da una ditta specializzata, in modo che si possa ricominciare ad utilizzarli. 

Secondo lei queste situazioni di disagio che vivete ogni giorno influenzano in modo sostanziale il vostro modo di lavorare?

Si, sicuramente ci porta a lavorare in modo diverso perché lavoriamo e viviamo in continua tensione. Sfido poi chiunque a riuscire dopo 8 ore di lavoro a chiudersi la porta di casa alle spalle e lasciare tutto fuori: in qualche modo i problemi lavorativi li riporti anche a livello familiare, la tensione non si accende e si spegne con un timer all’inizio e alla fine del proprio turno di lavoro. E’ normalissimo che in condizioni come quelle in cui siamo tenuti a lavorare sia più facile poter sbagliare.

Tra i problemi anche la mancanza del numero adeguato di agenti rapportati al numero dei detenuti…

Si, i numeri di Reggio Emilia sono abbastanza sconcertanti: abbiamo 435 detenuti quando dovrebbero essercene 297, e come agenti siamo 140 mentre dovremmo essere circa 200, quindi 50/60 unità in più nei vari ruoli. Ed il sottorganico aumenta, ovviamente, la percentuale di aggressioni: ce ne sono state una ventina solo nell’estate.
Considerando poi che Reggio Emilia ha un’ampia sfaccettatura per tipologia di detenuti la situazione diventa molto difficile da gestire per il numero esiguo di agenti in servizio. Ricordiamo, ad esempio, che accanto a detenuti comuni, transessuali, donne sottoposte ad una particolare tutela, l’istituto di Reggio ospita ancora quelle persone che erano dentute presso l’ex OPG. L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario è stato chiuso, gli utenti che erano lì dovrebbero essere trasferiti nella Rems, attualmente pronta in tutto e per tutto da diversi mesi ma che ancora non è stata aperta. Chiaro che, per agenti che non hanno alcuna formazione specifica nel trattare detenuti con problemi psichiatrici, avere anche a che fare con persone che hanno problemi di questa natura è difficile, per noi e per loro.

Per la costruzione della Rems sono stati spesi 9 milioni di euro ma la struttura, come mi confermava, non è ancora utilizzata. Secondo voi perché?

Da novembre è tutto pronto ma nemmeno noi capiamo perché i trasferimenti non sono ancora comunicati. Tra l’altro si tratta di una struttura nei pressi del carcere, per cui vedere i locali pronti e saperla non ancora utilizzata ci demoralizza ancora di più. Senza contare poi che la Rems non prevede la sicurezza affidata ai poliziotti penitenziari, per cui sarebbe, per noi, un abbassare il numero dei detenuti ed affidare agli altri la gestione.  

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